Il Carnevale e la sua storia: come da un confetto è nato un coriandolo.
- Teatro dell'Ozio
- 2 feb 2016
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"Per Carnevale ogni scherzo vale"? Pare di sì. E per scherzo si intende una vasta gamma di "trasgressioni". I caratteri di questa festa, infatti, sono principalmente il sovvertimento dei ruoli sociali, la danza, il cibo, il vino, la musica, la maschera.

Ma quando nasce tutto ciò? Le prime tracce di questa festa si hanno già circa 2000 anni fa nell'antico Egitto, dove si celebravano riti con cortei mascherati in onore del dio Nilo e della dea Iside.
La troviamo poi in Grecia, dove al dio del vino Dioniso venivano dedicati riti orgiastici.
Ugualmente, nell'antica Roma si celebravano i Baccanali, in onore di Bacco, e i Saturnali (lunghi dai 7 ai 15 giorni), in onore di Saturno, padre di tutti gli dei.
Durante queste celebrazioni era uso che venissero cancellati gli obblighi sociali lasciando il posto allo scherzo, al sovvertimento dell'ordine gerarchico e anche alla dissolutezza: i servi diventavano padroni e viceversa, in uno scambio di ruoli temporaneo e, chissà, forse non proprio indolore.
Il nostro Carnevale, tradizionalmente festa popolare, è quindi un'eredità di feste pagane, e pertanto non accettato inizialmente dal mondo cristiano: solo in un secondo tempo la Chiesa, pur non adottandolo, lo sopportò con una certa tolleranza, definendone lei stessa le date.
Il Carnevale inizia il giorno dopo l'Epifania e termina quaranta giorni prima della Pasqua, alla mezzanotte del martedi grasso.
Solo a Milano e dintorni invece, secondo il rito ambrosiano, l'ultimo di Carnevale è quattro giorni dopo il martedi grasso, il sabato.
Ma torniamo alla storia, ed al periodo in cui la nostra festa ebbe il suo massimo splendore: il Rinascimento.
Nel XVI secolo, nella Firenze dei Medici, venivano organizzate splendide feste da ballo con costumi sfarzosi, mentre nelle strade sfilavano cortei mascherati e grandi carri allegorici chiamati "trionfi", da cui si gettavano monete e dolcetti colorati riempiti di mandorle (confetti) o da semi di coriandolo coperti di zucchero.
In seguito i "confetti" vennero usati per altre circostanze (soprattutto per i matrimoni) e rimasero i semi di coriandolo zuccherati, che si trasformarono poi in palline di gesso colorate fino a quando, nel 1875, Enrico Mangilli cominciò a commercializzare i tondini di carta di risulta dalla lavorazione delle " carte traforate" utilizzate per l'allevamento dei bachi da seta: i nostri "coriandoli".
In inglese, invece, i coriandoli si chiamano ancora "confetti".

Tornando al Rinascimento, le sfilate dei trionfi erano accompagnate da "canzoni a ballo" e "canti carnascialeschi", dei quali il più celebre a noi pervenuto è "Il Trionfo di Bacco e Arianna" scritto proprio da Lorenzo il Magnifico in persona.
Lorenzo nell'allegoria della storia mitologica dell'amore tra Bacco e Arianna e la descrizione dei perosnaggi presenti sul carro inserisce un ritornello velato di malinconia, il famoso "Quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto sia: di doman non c'è certezza".
Forse l'essenza di questa festa sfrenata, che termina inevitabilmente in un periodo di digiuno e penitenza quaresimale.
Abbiamo visto come, fino dalle origini, il simbolo del Carnevale sia stata la maschera. Le trasgressioni, gli scherzi, i capovolgimenti sociali erano molto più agevoli se fatti in incognito.
Dalla maschera ci sentiamo protetti e liberiamo più semplicemente la nostra personalità più nascosta.
Le maschere entrano cosi nella commedia dell'arte e diventano famose: Arlecchino, Pulcinella, Stenterello, Colombina, Smeraldina, servi furbi, imbroglioni, arguti e spregiudicati.
A Venezia nel 1436 nasce la professione di "mascaro", il creatore di maschere.
La "Bautta", la più famosa, era usata anche dal Doge per ascoltare, non riconosciuto, i commenti sul suo governo.
C'erano poi il "medico della peste" nera con un lungo naso che serviva a tenere a disatnza il medico dalla fonte del contagio, e la "moretta" o "muta" munita di un grosso bottone sul retro che doveva essere tenuto fra i denti, impedendo così di parlare, usata dalle servette per ascoltare in strada i pettegolezzi sulla padrona senza poter intervenire.
Ma cosa significa la parola "Carnevale"? Secondo la tesi più condivisa dagli studiosi proviene dal latino "carnem levare" (eliminare la carne) o "vale" cioè "carne addio", riferendosi al martedi grasso ulitmo giorno in cui era concesso mangiare carne prima del digiuno quaresimale.
C'è però un'altra ipotesi, ovvero che derivi da "Carnasciale" cioè "carne a scialo", consumata in grande quantità durante feste e banchetti soprattutto concentrati nell'ultima settimana, la settimana grassa.
A Firenze il giovedi grasso viene chiamato "Berlingaccio", forse dal verbo "berlingare" cioè restare a tavola dopo un lauto banchetto, o forse da Berlinghieri, pladino di Carlo Magno, noto per le sue intemperanze a tavola.
Per Berlingaccio oltre a mangiare il "Berlingozzo", antico dolce a forma di ciambella, o la schiacciata alla fiorentina, "ai dormiglioni si suona il campanaccio".
Avete in famiglia qualcuno che la mattina non si alzerebbe mai? Approfittate per svegliarlo molto presto al suono di una campanella, anche improvvisata battendo una chiave sopra un pentolo!
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